Bari vecchia non è solo un concentrato di storia, a rendere affascinante questo quartiere è un'essenza molto folk caratterizzata da un groviglio di vicoli e angiporti. Le stradine baresi si dipanano da Piazza del Ferrarese per trovare spesso uno sfogo con vista mare. Da un po' di anni il quartiere è vivace anche di sera grazie a localini e trattorie. Sicuramente la Città Vecchia è la parte più suggestiva della città. Viuzze strette, con la gente che abita a pianterreno e che siede fuori casa, dove sistema il "tavoliere" per preparare le orecchiette. "Pasticcerie che, ai dolci tradizionali, aggiungono leccomie a base di panna e burro; ed ecco i piccoli artigiani che forgiano gli oggetti in ferro e l'aggiustatutto - ripara l'ombrello e la borsetta e la vasca da bagno -. Bari vecchia abbonda di osterie e trattorie, dove la cucina casalinga domina con le sue gustosissime pietanze. Gente tra i vicoli prepara le orecchiette.
La città vecchia di Bari
I vicoli caratteristici di Bari vecchia

La Cattedrale di San Sabino

Tipologicamente, si tratta di un importante esempio di romanico pugliese. La semplice facciata è tripartita da lesene e coronata da architetti: i tre portali risalgono all'XI secolo, ma sono stati rimaneggiati nel XVIII. La parte superiore è ornata da monofore, una bifora e un rosone, la cui ghiera è affollata di mostri ed esseri fantastici.
Sui fianchi si aprono profonde arcate sulle quali corrono gallerie esafore (rifatte); all'incrocio dei bracci sorge la cupola, poligonale all'esterno, dal mirabile fregio. Degne di nota sono le due testate del transetto, ornate di rosoni e bifore, come la parte absidale a parete continua, nella quale si apre un superbo finestrone. Sul fianco sinistro sorge la grande costruzione cilindrica della trulla (antico battistero trasformato in sacrestia nel XVII secolo) e appoggiato al transetto. Poco lontano si erge il campanile con finestre e un'alta cuspide, rifatto con pietre simili alle originali. Sotto un elaborato tiburio, la calotta della cupola presenta chiari motivi moreschi.
Internamente la chiesa, che è stata spogliata di tutte le strutture barocche, si presenta nella sua nuda solennità. Le tre navate sono separate da due teorie di otto colonne ciascuna. I finti matronei e le ampie trifore scandiscono armonicamente lo spazio, che si chiude con il transetto sopraelevato, l'alta cupola e tre absidi, di cui maestosa è quella centrale. Nella navata mediana il pulpito è ricomposto con frammenti originari del XI e XIII secolo, come lo sono pure il ciborio dell'altare e la cattedra episcopale nel presbiterio, cinto da plutei duecenteschi. Nell'abside sinistra esistono tracce di affreschi del Duecento. Sotto il transetto si estende la cripta, trasformata nel Settecento. Vi si conserva la tavola bizantineggiante della Vergine Odegitria, patrona principale della città insieme a san Nicola. Oltre ad accogliere le spoglie di san Sabino, Titolare della Cattedrale, dal 1939 la chiesa dà ospitalità al corpo di santa Colomba di Sens, precedentemente conservato nello scomparso Convento di San Vincenzo. La reliquia è stata completamente restaurata nel 2005[1].
Nel palazzo della Curia, adiacente la cattedrale, ha sede il museo diocesano, che custodisce l'Exultet, ossia una preziosa pergamena d'ispirazione bizantina, finemente miniata, anteriore al 1050. Le immagini sono capovolte rispetto al testo e quindi rispetto al sacerdote che lo leggeva. In questo modo i fedeli, quando il celebrante srotolava la preghiera pasquale, potevano guardare i sacri disegni. Tra l'altro anche chi non conosceva il latino poteva avere un'idea immediata del racconto
La Chiesa del Carmine

L'ordine dei Carmelitani apparve in Puglia nella prima metà del XIII secolo: l'insediamento dell'ordine avvenne nel 1542 nella zona nord occidentale nella penisoletta presso l'Ospedale del Sacro Monte di Pietà, in un'area fortemente popolata tra edifici conventuali come S. Vito e i monasteri degli Osservanti e delle Benedettine.
L'originaria intitolazione della chiesa, secondo alcuni documenti rintracciati, pare fosse stata a S. Maria degli Angeli ma gia' nell 1561 si parla di S. Maria de lo Carmine. Nel 1593, dopo che l'incaricato della Santa Sede aveva giudicato il suo scelto come poco adatto a religiosi per la vicinanza a case secolari, i frati si trasferirono in un sito migliore, nell'antiche chiesa di S. Rocco nei pressi della Strada di Pietramala (attuali via Tancredi e via Filioli) non lontano dalla Cattedrale.
Il sito, passato dai canonici del Capitolo Metropolitano ai padri della Compagnia di Gesu' per essere poi venduto, dietro pagamento di 400 ducati, ai padri della Trinita' fu ceduto infine ai Carmelitani. Questa seria di cessioni provoco' un contenzioso tra i canonici del Capitolo, i Gesuiti e i Carmelitani che duro' fino al 1611, anno in cui la diatriba si risolse a favore di questi ultimi. Negli stessi anni dovette avvenire l'intitolazione della chiesa alla Madonna del Carmine.
Dopo il chetarsi del contenzioso fu approntato dai religiosi alla meta' del Seicento, un piano di ristrutturazione che implico' innanzitutto il cambio di orientamento dell'edificio sull'asse ovest-est, con la facciata posta su via del Carmine; l'attuale presbiterio veniva eretto privo di abside, forse a causa dell'assenza del catino nella zona occidentale delle fabbriche preesistenti rivolte ad est.
La chiesa si presentava con un impianto interno longitudinale con quattro altari per lato e probabili coperture lignee. Nel settecento un massiccio intervento di restauro lascia ben poco rispetto all'assetto seicentesco. Il nuovo schema prevedeva l'introduzione due cappelle laterali al centro, pareti scandite dall'ordine gigante di paraste, un marcato cornicione aggettante e una calotta ellittica di raccordo tra le due cappelle. Vennero eseguiti anche stucchi per abbellire l'interno della chiesa.
Al tardo Settecento risale il portale di facciata della chiesa, sormontato dallo stemma dell'ordine, che lascia scorgere al di sotto la traccia di una mostra di porta piu' antica. Nel 1815 avvenne il restauro ad opera della Confraternita del Carmine, venuta in possesso della chiesa con riferimento al solo apparato decorativo (le paraste, i capitelli, la trabeazione furono ritoccati e impreziositi con stucchi senza alcuna alterazione all'unita' architettonica).
Vennero introdotti arredi e manufatti funzionali alla attivita' di culto come il palco di cantoria in legno di noce e l'organo, l'altare maggiore: una serie di migliorie arrivate fino a noi.
La lavorazione delle orecchiette nei vicoli

Le orecchiette oggi sono un tipo di pasta tipico della regione Puglia, la cui forma è approssimativamente quella di piccole orecchie, da cui deriva appunto il nome. Vennero diffuse in Puglia tra il XII e il XIII secolo a partire dal Capoluogo Barese ove tutt'oggi resta uno dei primi piatti più prelibati della città. In termine dialettale barese sono "L strasc'nat", termine che nasce proprio dal metodo di creazione con cui la pasta prende forma quando viene strascinata sul tavolo di lavoro. A Bari le orecchiette vengono cotte principalmente con le cime di rapa (piatto tipico particolare), con i cavolfiori, broccoli e altre verdure, particolari sono anche le orecchiette al ragù rosso. Con i piatti baresi cambia la dimensione delle orecchiette, sono preferibili più grandi quelle cotte con le verdure e molto più piccole quelle cotte con il ragù a sua volta tipico piatto domenicale sulle tavole baresi. La loro lavorazione è abituale lungo i vicoli della città vecchia.
La Chiesa del Gesù

Simbolo del potere dei Gesuiti a Bari, la piccola Chiesa del Gesù è uno dei pochi edifici sacri costruiti ex novo nella città pugliese in stile barocco. Costruita, a partire dal 1583, sui ruderi di una vecchia chiesa gesuita i lavori furono ultimati solo dopo due secoli. A partire dal 1987 è stata riaffidata ai Cavalieri del Santo Sepolcro, il cui simbolo, rappresentato dallo stemma con le cinque croci, è visibile sul lato destro della facciata che si innalza imponente sulla piccola piazza. La parte superiore ha un finestrone rettangolare, mentre su quella inferiore si apre il portale. L’interno è composto da una sola navata con un tetto a spiovente, ciascuna delle pareti laterali è contrassegnata da tre arcate, in ognuna delle quali è collocato un altare di marmo. Tra questi spiccano quelli dedicati rispettivamente a Sant’Ignazio di Lojola e a San Francesco Saverio. La statua di Gesù si trova sull’altare maggiore che racchiude un sarcofago in cui riposa la salma di Orsolina Capriati, come testimonia una lapide apposta sulla parete posteriore. Ai piedi dello stesso è, invece, sepolto il gesuita Domenico Bruno.